LETTERA APERTA AGLI ARCHEOLOGI
Cari archeologi Vi apprezzo molto per tutto il lavoro che fate ma non deve sembrarvi strano che anticamente per fare architettura e quindi per costruire un sito megalitico sia stato necessario conoscere il cosmo: l’architettura nuragica comprende la conoscenza dei numeri, l’astronomia, i simboli, il pianeta terra, gli esseri umani e i loro corpi, i suoni, i ritmi e cosa più importante la conoscenza dello spirito del luogo (genius loci). Oggi si sa abbastanza sulla funzione dei megaliti però essi rimangono circondati da un alone di mistero e vengono considerati da parecchi studiosi solamente delle pietre; invece vi assicuro che emanano una energia invisibile, impercettibile ma molto potente e misurabile con strumenti scientifici: nell’ambiente (Rayometer, Geo-magnetometro, Geiger-Muller, Frequenzimetro, Elettroscopio a foglie oro, Galvanometro) e sulla persona (Vegatest, Foto Kirlian, Ohmetro, Georitmogramma, Brain Olotester, Termometro, Visualizzazione a Scarica di Gas Computerizzata). È dunque importante utilizzare i siti con coscienza e sensibilità. Il mito di questa energia speciale è molto antico, si perde nella notte dei tempi, è presente in tutte le tradizioni del pianeta sul quale questa forza si è adagiata facendone il proprio specchio e configurandolo energeticamente secondo un preciso disegno cosmico: vi dico che frequentare un sito megalitico significa sperimentarla dinamicamente sul momento. Il cambiamento epocale che noi tutti stiamo vivendo è sottolineato dal passaggio dall’età dei pesci all’età dell’acquario e segna dunque il ritorno all’età dell’oro, il risveglio delle energie assopite, una trasformazione della coscienza e della mente supportata da nuovi processi culturali che sintetizzando pensiero occidentale e orientale, riportano in auge le antiche tradizioni: quella rabdomanzia ovvero quell’utilizzo delle bacchetta rabdomantica (anche in ambito archeologico) cosa verso cui voi siete massimamente scettici ( e posso comprendere ma non approvare la vostra “chiusura al considerare l’argomento”) risulta essere invece parte integrante di questo nuovo cammino e anzi gli conferisce una dimensione più vera e più profonda. È dunque il momento di rinnovarsi, di rinascere, di contribuire ad un disegno di portata molto vasta: vorrei tanto convincervi del fatto che all’interno di tante metodologie che possono fare diventare l’archeologia una scienza non solo interdisciplinare ma addirittura transdisciplinare ci debba essere un occhio di riguardo anche per la rabdomanzia/radiestesia. Voi archeologi non potrete restare per sempre scienziati legati al dato quantitativo, trascurando l’approccio multidisciplinare in quanto la collaborazione di varie discipline offre la possibilità di calarsi sia nella realtà spirituale che in quella materiale delle culture preistoriche: nella riflessione archeologica standard manca un approccio più ampio mentre invece una impollinazione reciproca tra studi diversi ha la potenzialità di illuminare ed espandere la nostra comprensione del passato. Inoltre l’approccio interdisciplinare garantisce un meccanismo correttivo: se una interpretazione basata su più discipline non sta in piedi in base alle scoperte di un punto di vista rispetto all’altro, l’interpretazione iniziale deve essere rivista. Concorderete con me che il “consenso” non è una chiave che apre prospettive rivoluzionarie nel mondo scientifico e infatti qualsiasi passo in avanti è determinato da una esplorazione di nuovi orizzonti che produce discussioni su temi controversi e non un’onda di silenzio che avvolge le questioni non ancora risolte. La scienza della archeologia e gli archeologi smettano dunque i panni stretti della semplice pratica compilatoria e si facciano essi stessi promotori di una “profezia scientifica” passando ad una impostazione della loro ricerca in cui la parte materiale non prescinda dalle emozioni e dal contesto: una evoluzione dunque come vera libertà nei confronti di vincoli troppo spesso dogmatici. Nel vostro lavoro ci sono aspetti che vanno oltre l’interpretazione della sola evidenza materiale così che il ritrovamento in uno scavo di uno strumento musicale potrà rivelarvi la gamma delle sue note ma non certo i motivi che vi sono stati suonati: è chiaro a tutti quanto notevoli siano i limiti della “semplice evidenza” non potendo mostrarci aspirazioni spirituali, speranze e passioni dell’umanità antica. Voglio credere che anche dentro di voi, che siete archeologi per mestiere e per amore del vostro lavoro, sia rimasto qualcosa del ricordo ancestrale di quella età dell’oro di cui vi parlavo che risveglierà in tutti noi la naturale attitudine umana alla consapevolezza, all’arricchimento di noi stessi e potrebbe aprire porte interiori insospettate consentendoci di esprimere quei talenti che sono sopiti dentro di noi. Ho sempre pensato che l’ideale che una scienza e dunque anche la scienza dell’archeologia dovrebbe perseguire, non risieda in una fisica opposta alla metafisica né in una metafisica avulsa dalla fisica, bensì in una fisica confortata dalla metafisica ed in una metafisica che coroni la fisica: l’incubazione presso tutti i siti megalitici già praticata dai nostri antenati a scopo terapeutico dovrebbe diventare parte integrante di questa galassia di cultura emergente in quanto mette la persona al centro della propria consapevolezza, ascoltandone i bisogni più reali: il segreto di tale “terapia nuragica” consiste proprio nel basarsi su modelli olistici. Cari archeologi vi ringrazio per avermi ascoltato e vi propongo un sogno ad occhi aperti ovvero che l’incubazione presso un sito megalitico possa costituire una branca interessante e rappresentativa della nascente scienza della globalità in quanto la sua intima essenza è olistica sin dai tempi nuragici: contiene concetti e dimensioni che rinviano ad ambiti come energetica, medicina sacra, crescita personale e rivela l’intenzione dell’uomo nuragico di includere tutte le dimensioni dell’essere con in primis quella spirituale. Con stima Raimondo Altana Presidente della Associazione Uomo Natura Energia Palau (OT)
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